
I lavoratori pagati per effettuare le consegne in città (i cosiddetti “rider”) ed i conducenti di auto che svolgono servizi analoghi ai tassisti (ma attraverso le piattaforme per smartphone) vengono spesso indotti a guidare in condizioni tali da aumentare enormemente il rischio di incidenti.
Come per le aziende di ogni tipo, quando il modello organizzativo prevede la presenza di determinati elementi di “pressione” (diretta o indiretta), i lavoratori sono indotti a comportarsi in modo tale da esporsi a rischi molto elevati.
Rischi che peraltro in questo caso non coinvolgono solo loro, ma anche tutti gli altri utenti della strada.
Una brutta notizia
Qualche mese fa, all’alba, Sara (27 anni) è morta alla guida della sua auto dopo averne perso il controllo. Sara lavorava come infermiera presso una struttura riabilitativa in Puglia, ed al momento dell’incidente era di rientro dopo il secondo turno di notte consecutivo. Parliamo quindi di una morte sul lavoro, avvenuta “in itinere” (cioè durante lo spostamento casa-lavoro o viceversa).
Quando si effettua la valutazione dei rischi a cui sono esposti i lavoratori (e qui mi rivolgo ai tanti colleghi che lo fanno di mestiere) non va dimenticato di analizzare anche la fase di itinere, specie se questa avviene alla guida di un mezzo proprio e coinvolge persone con mansioni particolari, come ad esempio quelle che prevedono il lavoro su turni. In alcuni casi, si può riconoscere per tali lavoratori un livello di esposizione al “rischio stradale” superiore alla media, e quindi cercare di adottare specifiche misure di riduzione del rischio intervenendo sulla componente individuale (lavorando ad esempio sulla formazione specifica) o organizzativa (lavorando ad esempio sulla pianificazione di orari e spostamenti). Nello specifico caso non va peraltro dimenticato come purtroppo il personale sanitario, da quando è esplosa l’emergenza Covid, sia sottoposto ad altissimi livelli di stress, aspetto che rende tale categoria di lavoratori meritevole di particolare attenzione. E meritevole anche, aggiungo, di un ringraziamento sincero ed universale da parte di tutti noi.
In generale, occorre quindi studiare adeguatamente la fase derivante dall’organizzazione del lavoro. E su questo voglio però proporvi una riflessione.
Il caso dei rider
Saluto con piacere la notizia che le società del food delivery Foodinho–Glovo, Uber Eats, Deliveroo e Just Eat, coinvolte in una inchiesta per presunte violazioni su aspetti di sicurezza e salute dei rider, hanno adempiuto a tutte le prescrizioni per mettersi in regola e pagato le sanzioni comminate. Le società hanno investito per la tutela della salute e della sicurezza dei rider ed hanno rispettato, tra l’altro, le prescrizioni in materia di visite mediche, fornitura di dispositivi di protezione individuale, formazione e informazione sulla sicurezza. La cosa, dicevo, mi fa molto piacere, e non solo perché sono cliente di queste società, ma perché credo che il modello del food delivery, che coniuga digitalizzazione diffusa e micro-mobilità urbana, sia intrinsecamente (!) solido ed efficiente, aumentando in vario modo le opportunità per i clienti, per i negozi e per chi vuole lavorare. Ma non deve però trascurare i diritti di questi lavoratori (i rider, appunto), sia a livello di retribuzione che a livello di salute e sicurezza sul lavoro. Lavoro che, per inciso, si svolge al 100% su strada.
La strada è il “luogo di lavoro” dove sappiamo essere maggiori i rischi di infortuni gravi e mortali. E in tale contesto, come ripeto spesso, il fattore “organizzazione” rischia di essere, se gestito male (ad esempio inducendo fretta o urgenza negli spostamenti), quello che fa aumentare maggiormente il rischio di incidente. Considerazione che vale peraltro non solo per il food delivery, ma per ogni tipo di attività lavorativa condotta su strada.
Apprezzo quindi i passi avanti fatti in questa direzione, come ad esempio l’accordo che uno di questi operatori ha sottoscritto nel 2021 con le organizzazioni sindacali per inquadrare i rider nel contratto collettivo di lavoro del settore ‘Logistica, Trasporto, Merci e Spedizione’, con conseguente assunzione di migliaia di rider e applicazione delle tutele antinfortunistiche previste per i lavoratori subordinati. Mi auguro che questo passo sia presto seguito da tutti gli operatori del settore.
Un approfondimento
Uno studio britannico sui problemi di sicurezza e sui diritti dei lavoratori nella cosiddetta gig economy ha evidenziato che i lavoratori pagati per effettuare le consegne in città (i cosiddetti “rider”) ed i conducenti di auto che svolgono servizi analoghi ai tassisti (ma attraverso le piattaforme per smartphone) vengono spesso indotti a guidare in condizioni tali da aumentare enormemente il rischio di incidenti. La ricerca è stata condotta da Heather Ward dello University College di Londra (e membro dello European Transport Safety Council), e finanziata dal Road Safety Trust del Regno Unito.
I lavoratori coinvolti per l’effettuazione della ricerca sono corrieri autonomi che consegnano pacchi e cibo e “tassisti” autonomi che lavorano tramite le app. Tra i risultati più clamorosi dello studio, emerge che la maggior parte di questi lavoratori ha dichiarato di non aver ricevuto non solo formazione sulla sicurezza stradale, ma neanche dispositivi di protezione individuale (es. gilet ad alta visibilità), dovendo provvedere in autonomia. Ed ancora: il 42% ha riferito che il proprio veicolo aveva avuto danno a seguito di un incidente durante il lavoro, ed infine: il 10% ha riferito di essere stato coinvolto in incidenti con lesioni (sue o di altri).
Il problema di fondo è che, man mano che i lavoratori “entrano” in questo settore economico (e quindi man mano che la concorrenza aumenta), per conservare l’introito abituale occorre aumentare sia il numero di ore necessarie per lavorare che le distanze che devono essere percorse. È vero che questi lavoratori sono in un certo senso “autonomi”, ma il fatto di operare come elementi umani di un processo gestito tramite una app li condiziona fortemente nel comportamento, come meglio evidenziato in questo schema (tratto dal report in questione).

Tempi di guida e tempi di riposo
Credo sia utile anche richiamare il Regolamento (UE) 2020/1054 del 15 luglio 2020, che introduce alcune modifiche in materia di tempi di guida e riposo ai regolamenti 561/2006 e 165/2014.
Qui le informazioni principali.
- Una delle novità introdotte riguarda il riposo settimanale regolare e quello superiore a 45 ore attuato in compensazione di precedenti periodi di riposo settimanale ridotti: questi non si effettuano a bordo del veicolo, bensì in un alloggio adeguato.
- Secondo la normativa attualmente in vigore nell’Unione Europea, gli autisti non devono guidare più di 9 ore al giorno, che può essere prolungato fino a 10 ore solo due volte a settimana.
- In una settimana, le ore totali di guida non possono essere più di 56 e su due settimane non possono essere più di 90.
- Per quanto riguarda i tempi di riposo obbligatori per gli autisti, dopo 4 ore e mezza di guida è necessario interrompere l’attività per almeno 45 minuti. Questi 45 minuti di riposo possono anche essere suddivisi in due pause più piccole: la prima deve essere obbligatoriamente di minimo 15 minuti, la seconda almeno di 30 minuti.
- I tempi di guida e riposo degli autisti vengono controllati tramite i tachigrafi. Questi dispositivi, noti anche come cronotachigrafo o dispositivi di controllo CE, sono montati sui veicoli e registrano i tempi di guida e di riposo, le interruzioni del tempo di guida, i chilometri percorsi e la velocità percorsa.
- Il mancato rispetto dei tempi di guida e riposo può comportare sanzioni pecuniarie e la decurtazione di punti sulla patente.
- Le principali violazioni riguardano il superamento dei periodi di guida prescritti, l’inosservanza delle interruzioni durante il viaggio (mancate o errate pause) e l’inosservanza dei periodi di riposo giornaliero o settimanale previsti.
Considerazioni personali
A mio parere, le opportunità portate dalla cosiddetta gig economy sono assolutamente da cogliere, ma senza cadere nel tranello di sfruttarne solo gli aspetti positivi e trascurare la condizione delle persone. Nello specifico, il fatto di retribuire i rider in base al numero di consegne (e non in base al tempo di lavoro) è un aspetto che va corretto, non solo perché non è rispondente al tipo di attività condotta, ma anche perché mette a rischio la loro incolumità. Oltre, peraltro, a quella di tutti gli altri utenti della strada.
Volendo inquadrare il problema secondo lo schema del “sistema guida”, a mio parere ci troviamo qui non tanto nell’ambito della componente “uomo”, quanto invece in quello della componente “spostamento”, le cui caratteristiche e condizioni generano un serio rischio di incidente in quanto influenzano (in negativo) il comportamento dei lavoratori. In generale, e non sono nel Regno Unito o in Cina, occorre sottolineare che il problema relativo alle tutele contrattuali ed assicurative dei lavoratori della gig economy è noto da tempo, ma tengo a sottolineare che, quand’anche questi specifici aspetti fossero messi a posto, il problema del rischio stradale rimarrebbe tutto. Consideriamo ad esempio le strette finestre temporali, la mancata flessibilità negli spostamenti (anche a fronte di condizioni ambientali avverse), la continua attenzione che gli operatori devono rivolgere alle notifiche ed alle indicazioni delle app con cui lavorano, ecc.
Come per le aziende di ogni tipo, quando il modello organizzativo prevede la presenza di determinati elementi di “pressione” (diretta o indiretta), i lavoratori sono indotti a comportarsi in modo tale da esporsi a rischi molto elevati. Rischi che peraltro in questo caso non coinvolgono solo loro, ma anche tutti gli altri utenti della strada.
Queste ultime considerazioni esulano dal caso specifico dei lavoratori della gig economy, in quanto hanno valenza molto generale. Possono, ad esempio, essere applicate anche all’ambito del trasporto delle merci, ed alla delicatissima fase del fissaggio dei carichi (aspetto per il quale si devono soddisfare diverse normative tecniche). Fare questa operazione in modo frettoloso o superficiale comporta rischi enormi una volta che ci si trova poi su strada. Ed è solo uno dei tanti esempi che si possono fare.
I Datori di Lavoro, gli RSPP, gli HSE manager ed i preposti dei lavoratori che vanno su strada devono tenerne conto.
Spero che questa riflessione possa essere utile a molti.
Per approfondire: