“Vision Zero” è una espressione che non indica un sistema organizzativo o un dispositivo fisico per la sicurezza stradale, ma un approccio (una visione, appunto) tendente all’obiettivo di azzerare del tutto le vittime degli incidenti stradali.
L’obiettivo naturalmente è lodevole, ma quanto tempo è giusto darsi per raggiungerlo?
Photo by Adil on Pexels.com
L’espressione Vision Zero nasce da un progetto di sicurezza stradale avviato in Svezia nel 1997, basato sui seguenti principi:
- Principio etico: la vita umana e la salute sono di primaria importanza, ed hanno la priorità sulla mobilità e su tutti gli altri obiettivi relativi al sistema di circolazione stradale.
- Principio di responsabilità: i responsabili dei servizi di trasporto e le autorità di regolamentazione del traffico devono condividere la responsabilità della sicurezza stradale con gli utenti.
- Principio di sicurezza: i sistemi di gestione del traffico stradale dovrebbero tener conto della possibilità di errore umana, e ridurre al minimo sia il rischio di commettere errori che i danni conseguenti.
Occorre dire che, nel tempo, l’approccio alla base di Vision Zero si è diffuso in tutto il mondo. Porto, ad esempio, la città di New York, che ha abbracciato Vision Zero con determinazione: al link www.nycvzv.info potete vedere una mappa interattiva molto chiara della città, con l’indicazione degli incidenti avvenuti negli ultimi anni e delle persone coinvolte (morte o ferite), suddivise tra pedoni, ciclisti ed automobilisti (qui invece il sito ufficiale, con molte informazioni interessanti).
L’approccio di VISION ZERO tocca inoltre anche tre dei diciassette obiettivi delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Sostenibile, come evidenzio in questa figura.

Anche a livello europeo, negli ultimi anni, sono nate diverse iniziative che condividono l’approccio di Vision Zero. Cito, ad esempio, i programmi EuroRAP (European Road Assessment Programme) ed EuroNCAP (European New Car Assessment Programme), aventi lo scopo di sviluppare protocolli e linee guida per realizzare strade ed auto più sicure e ridurre il rischio di incidenti.
Peraltro, anche la Commissione Europea ha pubblicato nel 2019 alcuni elementi di dettaglio su come intende mettere in pratica il suo piano d’azione strategico sulla sicurezza stradale.
In Italia, Vision Zero è una espressione ancora semi-sconosciuta, anche se la nuova edizione del Piano Nazionale della Sicurezza Stradale (PNSS) ne richiama l’esistenza e propone un approccio tutto sommato più “sistemico” rispetto alla precedente edizione. Questo, nell’ottica di affrontare il problema degli incidenti stradali con interventi che tocchino a 360° tutti gli aspetti rilevanti, senza procedere solo con iniziative di tipo “puntuale” (valide cioè su singoli aspetti ma non inquadrate in una strategia complessiva). È quello che occorre fare se si vuole realmente ridurre in modo deciso il numero di vittime della strada.
In ogni caso, al di là delle buone intenzioni che trapelano dalle pagine del nuovo PNSS, la vera intenzione di affrontare seriamente e professionalmente il problema la si potrà riscontrare solo al momento del finanziamento del piano stesso, che richiederà uno sforzo ed un ammontare di risorse adeguati rispetto all’entità del problema, visto l’alto costo sociale ad esso associato.
In conclusione, ricordo che gli incidenti stradali sono tra i primi posti nella classifica delle cause di morte, in tutto il mondo, ed anche la prima causa di morte per i giovani. Se si vuole davvero intervenire, occorre agire con determinazione e tempestività.
A mio parere, obiettivi ed azioni dovrebbero essere coerenti con le tempistiche proprie di una vera emergenza, e quindi darsi risultati che siano misurabili e rinnovabili nel breve termine (12 mesi!), e non dopo decenni. L’obiettivo alla base dell’approccio di Vision Zero è certamente quello da perseguire, ma l’orizzonte al 2050 è “troppo comodo” per i decisori di oggi, che possono, volendo, trascurare del tutto il problema senza intervenire con decisione e tempestività (come accade, peraltro, anche per l’emergenza climatica). Si dovrebbe invece intervenire in modo deciso, rapido e globale, come è stato fatto, ad esempio, per l’emergenza Covid.
Voglio comunque augurarmi che politici ed amministratori, in Italia e non solo, facciano questa volta per bene la loro parte, con onestà, competenza e senso di responsabilità.