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Perché UBER non funziona in Italia (o almeno non come potrebbe). Taxi e UBER a confronto.

uber taxi

“Do you have UBER in Italy?”

Molte volte ho utilizzato Uber, e la mia esperienza è stata sempre ottima, tanto negli Stati Uniti (dove l’ho usato molto spesso), quanto in Italia (sia Uber Black che Uber Pop, quando era operativo).

Persone cordiali e disponibili, auto pulite, tariffa pagata in linea con quella stimata, poca attesa (5-10 minuti), pagamento automatico a fine corsa e senza contante, ricevuta istantanea per e-mail e giudizio finale reciproco da scambiarsi con l’autista attraverso l’applicazione, dopo che ci si è salutati. E, soprattutto, servizio presente anche nelle periferie, a decine di chilometri dai centri cittadini. Tutto vero? Sì, tutto vero.

In particolare, nelle mie esperienze negli Stati Uniti, dove ho avuto modo di fare spostamenti di diversa durata (da quelli di 10’ a quelli di più di un’ora) e per i motivi e negli orari più disparati, tutto questo si è sempre ripetuto con sorprendente costanza. E questo, nonostante i vari guidatori siano privati cittadini, e non possano certo definirsi reciprocamente “colleghi”, né tantomeno “dipendenti” di Uber. Ho avuto, in sintesi, l’impressione di una rassicurante e concreta efficienza del sistema che mi avrebbe consentito in ogni momento di “non restare mai a piedi”.

Ed il bello è che gli “autisti” di Uber (o di Lyft, servizio analogo) non lo fanno – quasi mai – come “lavoro”, ma solo per arrotondare i loro guadagni o, semplicemente, perché hanno piacere nel guidare e nel conoscere persone nuove. Ho incontrato varie tipologie di persone ed ho parlato molto con loro, scoprendo tante storie diverse: dal giovane padre di famiglia alle prese con la fine del suo percorso di studi, al pensionato che “si diverte con Uber” dopo una vita passata a fare mille lavori; dall’insegnante che si offre come autista durante i mesi estivi di chiusura delle scuole all’immigrato appena arrivato che raccoglie dei soldi per dare una casa più grande alla sua famiglia.

Ma anche molti di loro avevano interesse a sapere qualcosa da me. La domanda più ricorrente era: “Do you have Uber in Italy”? E la mia risposta era del tipo “sì, ma non è proprio come qui…”, ed il discorso finiva invariabilmente sulla forte avversione che servizi come Uber, in Italia (e non solo), hanno subito da parte di compagnie e cooperative di taxi, con episodi peraltro talvolta caratterizzati da ripetute minacce e notevole aggressività rivolte ai rappresentanti italiani di queste piattaforme.

Nei primi tempi, in Italia, ci sono state varie sentenze (spesso discordanti) da parte dei giudici chiamati ad esprimersi in merito alla legittimità o meno delle attività di Uber. Ed è poi arrivata, con riferimento alla modalità “UberPop”, una sentenza definitiva di sospensione, che lascia quindi ad Uber la possibilità di operare con i soli conducenti professionali (quelli di Uber Black).

Considerazioni personali

Faccio comunque le mie considerazioni, cercando di pormi dai diversi punti di vista di un utente, di un guidatore di Uber e di un tassista. E parlo in particolare di UberPop, cioè della modalità di uso più economica per gli utenti, con auto condotte da persone “qualunque” (quindi autisti non professionali).

Come utente, parlo per esperienza personale. Se Uber è presente nella città in cui devo muovermi, spesso lo preferisco ai taxi, in virtù delle questioni di cui ho detto (disponibilità nelle periferie, economicità, pagamento automatico senza contante, ricevuta immediata, rating sull’autista, ecc.). Peraltro, a parte il discorso economico (è noto che i taxi in Italia hanno tariffe non proprio irrisorie), osservo che tutti gli altri elementi innovativi che rendono piacevole ed appetibile un viaggio con Uber potrebbero essere facilmente messi in atto anche dai tassisti (come la chiamata diretta attraverso una app sullo smartphone). Ed in qualche caso la cosa sta già avvenendo, e potrebbe in futuro ridurre forse la differenza di appeal oggi presente tra Uber ed i taxi.

Per quanto riguarda poi gli “autisti di Uber” (ho parlato con molti di loro ed il quadro è chiaro): non sono guidatori professionali, e non vogliono esserlo! E sono peraltro sottoposti a stretta “sorveglianza”, sia dal punto divista giuridico/penale che dal punto di vista della cortesia e della disponibilità che devono garantire ai clienti, grazie al sistema di rating (con meno di 4,5 stelle su 5 sono infatti “fuori dal sistema”). E sono anche sottoposti a verifiche e controlli sulla sicurezza alla guida. Ad ogni modo, essi non fanno di Uber la loro attività lavorativa, salvo qualche situazione (presente, sì, ma sporadica) di persone in difficoltà economica per aver perso il lavoro. Ma, anche in questi casi, i guadagni di una intera giornata non sono poi così alti (come mi hanno confermato gli stessi autisti di UberPop in Italia, quando operavano), e non generano una prospettiva economica tale da sostituire la ricerca di una normale occupazione. Chi si offre come autista di UberPop, dunque, non ha alcuna intenzione di mettersi in concorrenza con i taxi.

Ma qui c’è il paradosso: guardando la cosa dal punto di vista di un tassista, è invece assolutamente corretto vedere i guidatori di Uber come dei “concorrenti”. E questo perché gli utenti (cioè coloro che esprimono “la domanda” di trasporto) sono spesso portati a scegliere Uber invece dei taxi, ponendo dunque entrambe le modalità nel novero delle alternative che costituiscono la loro “offerta” di trasporto, e scegliendo quella che risulta più attrattiva (e non solo in base al prezzo). E magari scelgono Uber se lo percepiscono, appunto, “migliore” della concorrenza. I tassisti, inoltre, sostengono che con la presenza di Uber la loro licenza perderebbe valore. Più volte si è sentito dire da loro che, tra corse perse e licenza deprezzata, Uber sarebbe un concorrente così forte che li potrebbe portare al fallimento.

Ed ora, già che ci siamo, mettiamoci anche dal punto di vista di un governo nazionale. Ad esempio, il nostro. Che si ritrova innanzitutto una legge sul servizio dei taxi vecchia di oltre due decenni (quando non esisteva neanche la tecnologia che oggi rende possibile usare piattaforme come Uber o Lyft). E poi i cittadini, desiderosi di usare sempre più modi di trasporto alternativi all’auto privata (avendo purtroppo il trasporto pubblico in costante ridimensionamento ed i taxi che costano molto). Ed ancora, i tassisti sul piede di guerra per l’ingresso nel mercato di un concorrente reale, che non hanno mai avuto prima. Ed infine, le nostre città, tremendamente in ritardo su tutto, in primis sulla mobilità (anche se poi, a sproposito, alcune di esse si autodefiniscono pomposamente “smart city” solo perché hanno installato qualche colonnina per la ricarica dei veicoli elettrici).

Esiste allora un modo per accontentare tutti?

Probabilmente sì, ma la cosa deve essere ben regolamentata, ed ognuno dovrebbe fare un passo indietro e riconoscersi in un sistema nuovo, condiviso e dove c’è la presenza di tutti gli attori.

Si è molto dibattuto sul tema, e le possibili soluzioni non mancano. È stato proposto ad esempio di regolamentare servizi come Uber rendendoli legali, ma a condizione che gli autisti possano offrire il servizio solo per poche ore a settimana (in modo da eliminare la possibilità che qualcuno ne faccia davvero la propria professione). Ed ancora, la stessa Uber si è resa disponibile ad indennizzare i tassisti quantificando la reale perdita del valore delle licenze (sul cui quasi medievale meccanismo delle concessioni e del mercato si potrebbe poi aprire un lungo dibattito, ma non mi dilungo oltre). E poi, a quel punto, aprire il mercato della mobilità urbana a tutti gli operatori (conservando ovviamente il trasporto pubblico come punto di forza), ma in un quadro di regole chiaro e definito. Peraltro, gli stessi tassisti potrebbero “appoggiarsi” alla piattaforma di Uber in modo concordato e regolamentato, usandola per le prenotazioni ed i pagamenti, come già avviene da tempo in alcune città (l’ho sperimentato personalmente a Boston).

Quelle riportate sono alcune delle ipotesi emerse nel dibattito sul tema degli ultimi mesi, e dimostrano che con un po’ di criterio, buonsenso e (soprattutto) competenza in materia, la questione sarebbe gestibile e potrebbe portare ad ottimi risultati. Ma, per arrivarci, è opportuno ascoltare alla pari tutte le parti interessate e definire la soluzione basandosi su misure ragionate in base alla competenza tecnica nel settore della mobilità urbana, e non invece sulla base degli esiti attesi in termini di peso elettorale guadagnato o perso.

Chiudo infine con il rimando a questa inchiesta di Dataroom sul tema delle concessioni dei tassisti, che spiega bene a che punto siamo e perché non si riesce a risolvere il problema (come anche, ad esempio, nel caso dei balneari).


Su questo argomento trovate il mio contributo anche sulla rivista Smart City & Mobility Lab (qui il pdf).