I combustibili fossili causano cambiamento climatico, inquinamento e migliaia di morti premature ogni anno. Per questo dobbiamo accelerare la transizione verso una mobilità elettrica alimentata da fonti rinnovabili. In questo post spiego perché è una scelta necessaria, quali alternative abbiamo e come le città possono contribuire a costruire un futuro più pulito.
Premessa
Se vogliamo davvero fermare il cambiamento climatico, dobbiamo smettere di bruciare combustibili fossili. È questa la causa principale dell’aumento della CO₂ in atmosfera, e quindi del riscaldamento globale. Petrolio, carbone e gas naturale sono ancora oggi alla base della nostra economia, ma i danni che provocano – in termini di inquinamento, salute e instabilità climatica – non sono più accettabili.
Uno dei settori in cui questo cambiamento è più urgente e possibile è quello della mobilità. Auto, camion, navi e aerei sono ancora alimentati quasi esclusivamente da derivati del petrolio. Ma la buona notizia è che la tecnologia per sostituire questi combustibili esiste già. L’elettricità, se prodotta da fonti rinnovabili, è una soluzione concreta, scalabile e già in forte crescita in tutta Europa.
Spingere sulla mobilità elettrica non è solo una scelta ambientale, ma anche economica e sanitaria. In questo post provo a raccontare perché dobbiamo accelerare il più possibile questa transizione, partendo dai dati e dalle evidenze scientifiche, e tenendo presente che ogni passo in questa direzione ci avvicina a un futuro più pulito, più sano e più sicuro per tutti.
Cosa sono i combustibili fossili e dove vengono usati
I combustibili fossili sono fonti di energia di origine naturale, ma oggi rappresentano una delle principali cause della crisi climatica. Derivano dalla decomposizione di materiale organico accumulato nel sottosuolo per milioni di anni e comprendono petrolio, carbone e gas naturale. Sono stati fondamentali per lo sviluppo industriale, ma la loro combustione libera nell’atmosfera enormi quantità di anidride carbonica (CO₂), principale gas responsabile dell’effetto serra.
L’uso dei combustibili fossili è ancora molto diffuso in tutti i settori della nostra vita quotidiana. Vengono utilizzati nei trasporti (benzina, gasolio, kerosene), nelle case (riscaldamento, cucina), nelle industrie (processi produttivi, generazione di energia e calore) e nei servizi pubblici (generatori, impianti termici, trasporto collettivo non elettrificato). Questo uso estensivo contribuisce sia al cambiamento climatico, sia all’inquinamento atmosferico locale.
Nel settore della mobilità e dei trasporti, i combustibili fossili sono ancora la principale fonte di energia. Auto, camion, navi e aerei funzionano quasi sempre bruciando derivati del petrolio. Questo rende il comparto uno dei maggiori responsabili delle emissioni globali di gas serra, con conseguenze rilevanti anche sulla salute pubblica, a causa delle emissioni inquinanti concentrate in aree densamente abitate o attraversate da grandi volumi di traffico.
L’inquinamento da combustibili fossili causa migliaia di morti ogni anno.
L’inquinamento atmosferico da combustibili fossili è la prima causa ambientale di morte prematura in Europa. Nonostante i miglioramenti degli ultimi vent’anni, l’inquinamento dell’aria resta il principale rischio ambientale per la salute umana nel continente. Nel solo 2022, l’esposizione cronica al particolato fine (PM₂.₅) ha causato circa 239.000 morti premature, a cui si aggiungono 70.000 decessi per esposizione all’ozono e 48.000 per biossido di azoto (NO₂), tre inquinanti direttamente legati alla combustione di carburanti fossili nei trasporti, nell’industria e nel riscaldamento domestico.
Il particolato fine (PM₂.₅), prodotto in gran parte dai veicoli diesel e dai combustibili per il riscaldamento, è il più pericoloso per la salute. Secondo l’Agenzia Europea dell’Ambiente, nel 2022 il 94% della popolazione urbana europea è stato esposto a livelli di PM₂.₅ superiori ai limiti raccomandati dall’OMS. Queste sostanze penetrano in profondità nei polmoni e nel sistema cardiovascolare, contribuendo all’insorgere di asma, ictus, tumori e patologie croniche.
Inoltre, l’inquinamento atmosferico colpisce soprattutto le persone vulnerabili e le aree più povere. Bambini, anziani e soggetti con malattie pregresse sono i più esposti, ma anche i gruppi socio-economici svantaggiati vivono spesso in zone più inquinate. Ogni anno, nei Paesi membri e partner dell’EEA, oltre 1.200 decessi tra i minori di 18 anni sono riconducibili all’inquinamento atmosferico.
I costi sanitari ed economici dell’inquinamento sono altissimi, e ricadono sull’intera collettività. L’inquinamento industriale, in gran parte legato alla combustione di carbone e derivati fossili, continua a causare danni enormi. Una piccola percentuale di impianti particolarmente inquinanti (tra cui molte centrali a carbone) è responsabile di oltre metà del danno complessivo in termini di costi ambientali e sanitari. Tuttavia, grazie a politiche ambientali più restrittive, i costi generali si sono ridotti del 33% tra il 2012 e il 2021, segno che intervenire è possibile e funziona.
Non è solo l’inquinamento il problema generato dall’uso dei combustibili fossili. C’è anche il riscaldamento globale (per il cosiddetto “effetto serra”), tema su cui occorre avere le idee chiare.
E poi c’è il riscaldamento globale
E la prima domanda è sempre questa: quali Paesi ne sono i principali responsabili? La domanda in realtà va articolata meglio, per comprendere bene la questione. Anzi, le domande sono tre:
- Quali Paesi hanno emesso complessivamente, nel tempo, più CO2 in atmosfera (e quindi hanno la maggiore responsabilità nell’averci portato nella brutta situazione in cui siamo ora)? Risposta: 1° Stati Uniti; 2° Unione Europea; 3°: Cina.
- Quali Paesi, oggi, emettono più CO2 (e quindi devono impegnarsi più degli altri per contenere le emissioni)? Risposta: 1° Cina; 2° Stati Uniti; 3° India.
- Quali Paesi oggi emettono più CO2 in rapporto alla popolazione (e quindi fanno sì che i loro cittadini abbiano lo stile di vita più dannoso per il pianeta)? Risposta: 1°: Qatar; 2°: Brunei; 3° Bahrain.
La fonte è CO2 emissions – Our World in Data (che vi consiglio di consultare anche per tante altre cose…).
Ho inserito per ogni “classifica” solo i primi tre Paesi, per motivi di spazio, ma questo può portare ad una lettura parziale dei dati. Invito tutti consultare le classifiche complete, che consentono di fare confronti non solo a livello geografico, ma anche nel tempo. I grafici sono interattivi, potete consultarli in tanti modi (anche come mappe o tabelle), selezionare il periodo temporale ed i Paesi di interesse, e lanciare animazioni. E vi invito anche ad “attivare” le aree geografiche a livello di continenti (es. l’Europa), per avere ulteriori informazioni.
Provate, e tanti aspetti diventeranno più chiari.
E, visto che ci stiamo appassionando un po’ tutti al tema dei cicli del pianeta, guardiamo ai numeri. È vero, nel tempo la concentrazione di CO2 varia e segue dei cicli. Ma quello che osserviamo oggi è che abbiamo ampiamente sfondato il livello massimo mai raggiunto, ciclo dopo ciclo, negli ultimi 800.000 anni. E stiamo pure continuando a salire.
Quindi la risposta è: “Sì, il surriscaldamento del clima che stiamo osservando è colpa dell’uomo!”
La doppia strategia per combattere il riscaldamento globale.
Il contrasto ai riscaldamento globale richiede una strategia duplice: più vegetazione e meno emissioni fossili. Per contrastare il cambiamento climatico servono due azioni complementari: da un lato aumentare la capacità del pianeta di assorbire CO₂ attraverso foreste e suoli sani, dall’altro eliminare alla radice le emissioni derivanti dall’uso di combustibili fossili. Le foreste mature e gli ecosistemi integri assorbono grandi quantità di anidride carbonica. Vanno quindi tutelate, ripristinate e, dove possibile, rimboschite. Anche un’agricoltura più sostenibile, con suoli fertili e meno input chimici, contribuisce al sequestro del carbonio. Ridurre l’uso dei combustibili fossili significa invece puntare con decisione sul solare, l’eolico, l’idroelettrico, sull’efficientamento degli edifici e sulla mobilità pulita. È fondamentale anche investire in nuove tecnologie per rendere disponibili soluzioni sempre più efficaci e accessibili.
I Paesi più vulnerabili pagano peraltro il prezzo più alto del riscaldamento globale. Pur avendo basse emissioni pro-capite, molti Paesi in via di sviluppo subiscono gli impatti più gravi della crisi climatica. E, per ripagare debiti contratti con i Paesi ricchi, spesso sono costretti a sfruttare ancora di più le proprie risorse fossili. Un motivo in più per rafforzare la cooperazione internazionale e favorire una transizione equa per tutti.
Il Comitato Europeo delle Regioni ha messo a disposizione delle amministrazioni locali il primo manuale sull’adattamento ai cambiamenti climatici, creato secondo gli obiettivi fissati dal Green Deal. Questo nuovo strumento interattivo, personalizzato per ogni Stato membro, ha come obiettivo quello di informare città e regioni sui finanziamenti e sugli strumenti tecnici che possano mitigare i mutamenti climatici e incentivare la transizione ecologica a seconda della conformazione geografica del luogo, allo scopo di favorire la resilienza dei territori e attenuare l’eventualità di catastrofi e danni. Allego qui il documento personalizzato per l’Italia, utile per progetti di mobilità e trasporti e non solo.
Infine, in merito al “comportamento” più o meno virtuoso dei vari Paesi in tema di transizione energetica, ecco alcuni numeri sulla quota di energia elettrica prodotta con fonti rinnovabili:
- Italia: 49% (e molti Paesi Europei superano ampiamente il 50%);
- Cina: 34%;
- Stati Uniti: 24%.
- India: 20%
E le tendenze di lungo periodo sono, giustamente, in salita, e in direzione degli obiettivi che abbiamo a livello globale.
Come però si dice spesso, l’energia più pulita è quella non usata. E quindi occorre cercare, come prima cosa, di ridurre i consumi di energia. E questo non vuol dire che peggiorano le condizioni di vita (anzi!). Lo si può fare sia a livello domestico (ad esempio con iniziative legate alla ristrutturazione degli edifici in chiave di efficienza energetica, come i cosiddetti “superbonus”), che a livello di mobilità e trasporti.
Risparmiare energia non frena l’economia: la rende più sostenibile. Secondo un articolo di Hannah Ritchie pubblicato il 30 novembre 2021 su Our World in Data, vari paesi con alti livelli di reddito hanno dimostrato che è possibile dissociare la crescita economica dall’uso dell’energia. In pratica, mentre il PIL di questi paesi è aumentato, l’uso dell’energia è rimasto stabile o è addirittura diminuito. Esempi concreti includono nazioni come la Svezia, il Regno Unito, la Germania, la Danimarca e la Svizzera.
L’articolo sottolinea inoltre che tale tendenza non è semplicemente il risultato della delocalizzazione della produzione manifatturiera; anche l’uso dell’energia basato sul consumo, che tiene conto dell’energia utilizzata per produrre beni importati ed esportati, è rimasto stabile o è diminuito. Questo disaccoppiamento (decoupling) ha implicazioni positive anche per la riduzione delle emissioni di CO2, contribuendo ad una crescita economica sostenibile e rispettosa del clima.
Risparmiare energia in città vuol dire anche migliorare la mobilità
Risparmiare energia nella mobilità urbana è una scelta ambientale, sociale ed economica. Meno consumo energetico significa meno emissioni climalteranti, minore impatto ambientale e un contributo diretto alla sostenibilità delle città. Migliorare l’efficienza nei trasporti aiuta anche a contrastare la povertà energetica e a rendere i territori più resilienti.
I Comuni hanno un ruolo centrale nel migliorare l’efficienza della mobilità. Le azioni più efficaci includono il potenziamento del trasporto pubblico, la promozione della mobilità attiva, la riduzione dell’uso dell’auto privata e l’adozione di strategie integrate di gestione. Utilizzare veicoli a basse emissioni, ottimizzare i percorsi e aumentare la frequenza dei mezzi pubblici riduce i costi energetici e rende il trasporto collettivo più competitivo.
Camminare e andare in bici non inquinano e migliorano la salute. La mobilità attiva, oltre a non emettere gas climalteranti, riduce il traffico e i costi sanitari. Per favorirla, le città devono investire in infrastrutture ciclabili e pedonali sicure, accessibili e ben connesse. E politiche come il car sharing, le ZTL e la promozione di veicoli elettrici servono a limitare gli impatti della mobilità motorizzata, anche se la vera priorità resta ridurre il numero complessivo di veicoli in circolazione, non solo renderli più “puliti”.
La gestione intelligente della mobilità aumenta l’efficienza dell’intero sistema. PUMS, orari flessibili, sistemi di prenotazione e politiche di Mobility Management aiutano a distribuire meglio i flussi di traffico e ad ottimizzare l’uso delle infrastrutture esistenti. Inoltre, corsie riservate, piste ciclabili, segnaletica smart e spazi pedonali ben progettati incoraggiano comportamenti virtuosi e rendono le scelte sostenibili più semplici e sicure per tutti.
Gli spostamenti che non possono essere ridotti o ottimizzati, vanno resi puliti al 100%. E qui entra in gioco la mobilità elettrica.
I veicoli elettrici crescono in tutta Europa, nonostante le polemiche (italiane).
La mobilità elettrica si basa su una gamma di tecnologie già disponibili e in continua evoluzione. I veicoli elettrici (EV) utilizzano uno o più motori elettrici alimentati da batterie ricaricabili o da sistemi esterni. Possono essere automobili, furgoni, camion, motocicli o autobus. Anche tram, metropolitane e treni elettrici sono esempi consolidati di trasporto pubblico a zero emissioni locali.
Le batterie sono il cuore tecnologico dei veicoli elettrici, e stanno evolvendo rapidamente. Accanto agli attuali accumulatori agli ioni di litio, si stanno sviluppando batterie allo stato solido, che promettono maggiore densità energetica, ricarica più veloce, minori costi e una durata più lunga. La frenata rigenerativa, già presente su molti veicoli, consente inoltre di recuperare energia in fase di decelerazione.
Le infrastrutture di ricarica sono un elemento chiave per l’espansione della mobilità elettrica. Sono indispensabili colonnine pubbliche e private, stazioni di ricarica rapida e, in prospettiva, sistemi wireless. In Italia oggi si contano circa 50.000 punti di ricarica, in crescita costante. La delibera ART n. 130/2022 ha inoltre definito i criteri per sviluppare le ricariche anche lungo le autostrade, con gare gestite dai concessionari. Diverse città italiane offrono agevolazioni come parcheggi gratuiti su strisce blu o spazi riservati vicino alle colonnine. La ricarica domestica, invece, consente un uso comodo e sicuro del veicolo elettrico, soprattutto nei contesti residenziali con garage privato o condominiale.
Standard comuni e interoperabilità sono fondamentali per facilitare la diffusione. Serve armonizzare i connettori, i protocolli di comunicazione e i sistemi di pagamento tra operatori, per garantire all’utente un’esperienza di ricarica fluida e senza ostacoli, ovunque si trovi.
La diffusione dei veicoli elettrici in Europa è in forte crescita, trainata dagli obiettivi climatici e dalle politiche di sostegno. Nel 2023 sono stati immatricolati nell’Unione Europea oltre 2,4 milioni di auto elettriche, pari al 22,7% del totale delle nuove auto vendute, in netto aumento rispetto ai 2 milioni del 2022. La crescita ha riguardato soprattutto i veicoli elettrici a batteria (BEV), che hanno registrato un +37%, mentre le immatricolazioni di ibridi plug-in (PHEV) sono leggermente calate. Anche i veicoli commerciali leggeri iniziano a elettrificarsi. Nel 2023 sono stati immatricolati 91.000 furgoni elettrici, per la maggior parte BEV, che rappresentano ormai quasi l’8% del mercato dei nuovi veicoli di questo tipo. È un settore strategico per ridurre le emissioni legate alla logistica urbana e alle consegne.
I Paesi Scandinavi guidano la transizione, ma tutta l’Europa è coinvolta. In Norvegia, i veicoli elettrici hanno raggiunto il 91% delle nuove immatricolazioni; in Svezia e Islanda superano il 60%. Anche in Germania e Francia i numeri sono in crescita costante. Solo due Paesi (Polonia e Croazia) restano sotto il 5% di veicoli elettrici sul totale delle nuove immatricolazioni. Ricordo che l’Unione Europea ha fissato obiettivi ambiziosi e vincolanti per l’intero settore dei trasporti. Entro il 2025, le emissioni medie delle nuove auto dovranno ridursi del 15% rispetto al 2021, per poi arrivare al -55% nel 2030 e al 100% nel 2035, quando saranno consentite solo nuove immatricolazioni di veicoli a zero emissioni. Questi traguardi spiegano il ritmo accelerato della transizione in corso.
In Italia si discute, in Europa si agisce. Mentre nel dibattito italiano si rincorrono narrazioni infondate e paure spesso strumentali, gli altri Paesi europei avanzano con decisione. L’elettrificazione della mobilità non è una moda, ma la risposta concreta e necessaria alla sfida della decarbonizzazione. E i numeri, ogni anno più solidi, lo dimostrano (figura tratta da New registrations of electric vehicles in Europe | European Environment Agency’s home page).
E nel frattempo, per chi si trovasse a dover cambiare auto, lo invito a sceglierla anche consultando il sito del programma GreenNCAP, che fornisce una classificazione delle auto in base agli inquinanti prodotti ed all’efficienza energetica del motore.
I carburanti sintetici sono un’alternativa utile, da sviluppare con intelligenza
Accanto all’elettrico, anche i carburanti sintetici rappresentano una direzione da seguire per eliminare le emissioni. Si tratta di combustibili ottenuti combinando idrogeno (prodotto per elettrolisi da fonti rinnovabili) e carbonio catturato dall’aria o da processi industriali. Se l’energia usata per produrli è rinnovabile, l’anidride carbonica emessa durante la combustione è la stessa che era stata precedentemente catturata: il bilancio emissivo è quindi neutro, o quasi.
Gli e-fuel possono essere utilizzati nei motori tradizionali, senza modificare l’infrastruttura attuale. È questo il loro principale vantaggio: permettono di decarbonizzare anche veicoli e mezzi difficili da elettrificare, come aerei, navi e alcuni trasporti su lunga distanza. Inoltre, offrono un’opzione realistica per chi, dopo il 2035, vorrà ancora produrre veicoli con motori endotermici, a patto che funzionino esclusivamente con carburanti sintetici.
Oggi i carburanti sintetici sono ancora costosi e poco diffusi, ma il loro potenziale è elevato. Le tecnologie esistono, ma devono essere sviluppate su scala industriale e supportate da politiche pubbliche e investimenti mirati. Le iniziative europee come ReFuelEU Aviation e FuelEU Maritime vanno in questa direzione, promuovendo l’uso di carburanti sostenibili nei settori più difficili da elettrificare.
Il principio guida è chiaro: smettere di immettere nell’atmosfera nuovo carbonio proveniente dal sottosuolo. Qualsiasi soluzione che consenta di evitare le emissioni di CO₂ fossile deve essere sostenuta. Elettricità da fonti rinnovabili, idrogeno verde e carburanti sintetici sono strumenti diversi ma complementari, da scegliere in base ai contesti e agli usi.
Conclusioni
Siamo ancora troppo dipendenti dai combustibili fossili, e il prezzo da pagare è altissimo: in termini climatici, sanitari, economici. La crisi climatica è già in corso, e l’inquinamento atmosferico continua a mietere vittime in tutta Europa. Continuare su questa strada significherebbe solo aggravare i danni e rinviare scelte che, prima o poi, diventeranno inevitabili.
La mobilità elettrica non è una panacea, ma è oggi la risposta più efficace e realistica per decarbonizzare rapidamente il settore dei trasporti. I veicoli elettrici sono già disponibili, le reti di ricarica si stanno ampliando e le tecnologie migliorano anno dopo anno. È un settore che cresce, che crea innovazione e che ci permette di ridurre concretamente le emissioni.
Ma non basta cambiare tecnologia: serve anche ridurre il numero di spostamenti non necessari e favorire modalità più efficienti e inclusive di muoversi, soprattutto nelle città. Questo vuol dire investire nel trasporto pubblico, nella mobilità attiva, in infrastrutture intelligenti e in una pianificazione urbana coerente con gli obiettivi climatici.
La transizione non sarà facile, ma è possibile. E in parte è già iniziata. Perché diventi davvero efficace, servono politiche pubbliche coraggiose, investimenti mirati e un impegno diffuso da parte di tutti – istituzioni, imprese, cittadini. Ma soprattutto, serve una visione chiara: uscire dai combustibili fossili, spingere sull’elettrico e ridurre i consumi energetici in ogni ambito della mobilità.