Il comportamento alla guida, ritenuto dai più una cosa del tutto naturale, nasconde in realtà una complessità notevole, che ci mette in condizioni di rischio molto più spesso di quanto non pensiamo.
Anche, e soprattutto, quando guidiamo per lavoro.
Con riferimento a questo tema, è molto importante approfondire gli aspetti psicologici che entrano in gioco. Ho voluto farlo con la dott.ssa Daniela Frisone, e riporto di seguito quanto scritto a quattro mani.
Il comportamento alla guida, ritenuto dai più una cosa del tutto naturale, nasconde in realtà una complessità notevole, che ci mette in condizioni di rischio molto più spesso di quanto non pensiamo. Anche, e soprattutto, quando guidiamo per lavoro.
Riflettiamo su questi dati:
- Ogni giorno, in Italia, 8 persone perdono la vita su strada (e molte altre restano ferite, alcune delle quali con conseguenze gravi ed irreversibili), secondo i dati ACI-Istat sugli incidenti stradali;
- il “costo sociale” annuo a livello nazionale dovuto all’incidentalità stradale ammonta a 20-25 miliardi di euro (dati del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti);
- gli incidenti stradali costituiscono la prima causa di morte, nel mondo per i giovani (nella fascia d’età compresa tra i 4 e i 29 anni;
- circa la metà degli infortuni mortali sul lavoro sono dovuti ad incidenti stradali (dati INAIL).
Ed ancora: i dati sull’incidentalità stradale mostrano che il mancato rispetto della precedenza, la distrazione e la velocità elevata sono le principali cause di incidente stradale. E, tra le altre cause più rilevanti, ci sono la mancanza della distanza di sicurezza, la manovra irregolare e il comportamento scorretto del pedone. Tutti aspetti, come si evince, da attribuire a comportamenti sbagliati. E tutti incidenti, dunque, potenzialmente evitabili attraverso una maggiore attenzione ed una accresciuta prudenza da parte di tutti.
Progettare interventi a favore della sicurezza stradale significa quindi porre la persona al centro di un sistema complesso (il “sistema guida”), che coinvolge anche il veicolo e le infrastrutture. E ragionare sulla persona, inoltre, vuol dire non solo vederla come singolo individuo, ma analizzarne anche le reciproche interazioni (ad esempio tra singoli conducenti, o tra un pedone e un ciclista, ecc.). E, nel caso di rischio stradale sul lavoro, occorre inoltre comprendere la situazione del “singolo” inserito nel sistema/organizzazione aziendale.
Il “sistema guida”
Sappiamo che il “sistema guida” è composto da una terna di componenti in equilibrio dinamico (UOMO-VEICOLO-INFRASTRUTTURA), influenzata istante per istante dalle condizioni esterne (componente AMBIENTE) e, in generale, dalle scelte fatte per la pianificazione dello SPOSTAMENTO.
Per ridurre il rischio stradale occorre intervenire su ognuna delle componenti in questione (a parte l’AMBIENTE, che per definizione costituisce una “condizione al contorno”), studiandone le caratteristiche ed intervenendo dove necessario per ridurre o eliminare i singoli rischi. Approfondiamo qui l’aspetto relativo alla COMPONENTE UOMO.
I rischi legati al fattore umano
Quando il comportamento dell’uomo è causa o concausa di incidenti, possono verificarsi due situazioni. Nel primo caso si hanno violazioni consapevoli e deliberate di norme di comportamento (distanze di sicurezza, limiti di velocità, rispetto delle precedenze, uso di alcool, ecc.). Nel secondo caso si ha l’errore vero e proprio, derivante dal “fallimento” di azioni pianificate o di sviste, che spesso si verificano a causa di una mancata o scorretta percezione del rischio, tanto individuale quanto, nel “caso aziendale”, di tipo organizzativo.
Cosa ha a che fare la Psicologia con la Sicurezza Stradale? La psicologia aiuta a comprendere i processi “attentivi”, percettivi, sensoriali implicati nella guida. Il nostro sistema percettivo, attraverso i sensi, percepisce gli stimoli dell’ambiente circostante, e questo vale anche nel caso della circolazione stradale (ambiente, peraltro, molto complesso). Ma non tutti gli stimoli uditivi, olfattivi e visivi vengono colti, in quanto il nostro cervello funziona come un filtro che seleziona gli stimoli provenienti dall’ambiente – diversamente vivremmo nel caos – e permette all’individuo di “organizzare” il proprio comportamento. Questa selezione degli stimoli si chiama “attenzione”.
Noi siamo in grado di cogliere più stimoli contemporaneamente: alla guida, ad esempio, vediamo il pedone, il semaforo, il veicolo che precede, ecc. Se però siamo concentrati su qualcosa in particolare (ad esempio per cercare una strada o un numero civico, o per scrivere un messaggio al cellulare), tralasciamo altri stimoli rilevanti. E durante le attività formative si usano spesso, in effetti, strumenti e giochi che pongono all’evidenza i limiti della nostra percezione.
Ma quante cose possiamo fare contemporaneamente? Le ricerche evidenziano come gli stimoli che chiamano in causa il medesimo organo di senso creano tra loro “interferenza”. Se durante la guida si ascolta della musica si impegnano due differenti canali percettivi: l’interferenza tra i due stimoli è minore rispetto, ad esempio, al cambiare il canale della radio mentre si guida. In questa ultima situazione l’organo della vista è infatti doppiamente coinvolto: tra le due azioni si crea interferenza.
Il caso della frenata improvvisa
Molto spesso, alla guida, devono essere prese decisioni repentine, a fronte ad esempio della comparsa di ostacoli improvvisi. In genere si pensa che la frenata sia un‘unica azione, dall’esecuzione pressoché immediata, ma non è così. La ricerca ci aiuta a comprendere che quello che avviene è un susseguirsi di meccanismi percettivi e di successive azioni, per il cui svolgimento occorre un certo tempo. Tra la percezione di un ostacolo e l’esecuzione di un compito (inizio della frenata) c’è il “tempo di reazione”, e corrisponde alla prima fase: la percezione del pericolo. Segue la fase dell’azione, in cui inizia la procedura di arresto: si sposta il piede dall’acceleratore al freno. Nella terza fase si ha infine la frenata vera e propria (dall’azione sul pedale del freno all’arresto dell’auto). Le prime due fasi rappresentano l’”intervallo psicotecnico”, cioè il tempo che precede la frenata vera e propria. Durante tale intervallo, in media di circa 1 secondo, l’auto procede senza variare la propria velocità.
A 50 km/h, l’auto percorre circa 14 m durante il tempo di reazione ed altri 14 metri nello spazio di frenatura. A 100 km/h si percorrono invece 28 m durante il tempo di reazione e 70 metri nello spazio di frenatura, quindi quasi 100 metri dalla percezione dell’ostacolo all’arresto completo.
La frenata non è dunque un’azione immediata, ma richiede un certo tempo, e la distanza di sicurezza diventa quindi un elemento fondamentale per evitare gli incidenti.
L’effetto di alcool e distrazione sui tempi di reazione
Tempi e distanze di cui si è detto corrispondono a valori medi, considerando guidatori in stato psico-fisico normale e veicoli tenuti in condizioni di efficienza. Ma i tempi di reazione non possono essere uguali per tutti, ed in tutte le situazioni. Ad esempio, quanto incide l’alcool sulla guida e sulla nostra capacità di reagire ad uno stimolo? Un tasso alcolemico pari al limite consentito (0,5 g/l) esercita in realtà già notevoli cambiamenti sulle nostre capacità attentive, percettive e decisionali. Peraltro, l’assunzione di alcool, anche in ridotte quantità, accresce la sensazione di controllo, di sicurezza e di sopravvalutazione del mezzo, riducendo quindi la percezione di limite e pericolo. Il rischio di incidente con un tasso alcolemico compreso tra 0,5 e 0,9 g/l aumenta di 11 volte rispetto al tasso alcolemico nullo. E con una alcolemia di valore pari o superiore a 1,5 g/l il rischio di incidente cresce addirittura di 380 volte rispetto al tasso nullo (dati ACI).
E tutto questo senza considerare la distrazione, una tra le maggiori cause di incidenti, in particolare a seguito della diffusione dei telefoni cellulari (sia nel caso di incidenti occorsi a conducenti che per incidenti occorsi a pedoni o motociclisti).
La resilienza e la sicurezza
Quando si parla di interventi a favore della sicurezza stradale, o comunque interventi preventivi volti a preservare la salute e il benessere delle persone/lavoratori, spesso si parla di interventi formativi sull’individuo (corsi di guida sicura, ecc.) o di interventi sui mezzi (ad esempio dotando gli stessi di sistemi avanzati di ausilio alla guida, strumentazioni varie, ecc.). In realtà, il benessere lavorativo è un concetto più complesso, e riguarda l’individuo inserito in un sistema sociale ed in una organizzazione aziendale. Per aumentare la sicurezza non basta dunque intervenire solo sul singolo e sul mezzo, ma è necessario trovare il giusto bilanciamento tra i “bisogni organizzativi” ed esigenze individuali.
L’intervento di sensibilizzazione, finalizzato all’incremento della consapevolezza nei conducenti professionisti, è quindi legato al tema della “cultura aziendale della sicurezza”. Se ad un autotrasportatore, ad esempio, si propone un percorso formativo sulla sicurezza stradale (incentrato su temi quali percezione del rischio, sonnolenza, tempi di riposo, alcool, velocità, ecc.), occorre anche che, da parte aziendale, ci sia un approccio coerente, come ad esempio, definire tabelle di marcia congrue per effettuare i viaggi in sicurezza.
Interventi specifici sul benessere e sulla salute psicofisica dei lavoratori, anche attraverso interventi sull’organizzazione stessa, rappresentano strategie efficaci per ridurre il rischio stradale (sul lavoro e fuori). Percorsi formativi aziendali sulla resilienza personale e organizzativa creano sicurezza fornendo strumenti indispensabili per gestire lo stress, rafforzando le competenze emotive ed implementando strategie per risolvere i problemi in un’ottica proattiva.
Nell’ambito delle organizzazioni è dimostrato infatti che un lavoratore “resiliente” gestisce e affronta lo stress in modo sano, cercando di mettere in atto tutte le sue risorse personali. Lo sviluppo di capacità resilienti nei lavoratori preserva da patologie quali lo stress, che può essere concausa, assieme ad altri fattori, dell’insorgenza di situazioni particolari con conseguenti danni comportamentali e fisici nell’individuo e conseguenti danni economici sociali e aziendali.
Un lavoratore resiliente ha inoltre un’alta capacità di riflessione sulla propria vita lavorativa: è capace di stabilire rapporti soddisfacenti con i propri colleghi di lavoro, è in grado di mantenersi ad una certa distanza dai problemi (ma senza isolarsi), ed è determinato a raggiungere gli obiettivi prefissati. Egli ha costruito una rete di supporto sociale nell’ambiente sia lavorativo che extralavorativo, riuscendo a dare un senso alla sua vita professionale conciliando le esigenze lavorative e personali. Ha la capacità di gestire ed affrontare lo stress attingendo dalle risorse migliorative interne con aggiustamenti che mirano alla limitazione del rischio psicosociale e ai costi aziendali del malessere (turn-over, micro-assenteismo ecc.). E l’organizzazione resiliente riesce inoltre a prevenire, perché è in grado di cogliere i piccoli segnali che possono preannunciare l’evento catastrofico.
Conclusioni
Da quanto detto emerge con evidenza l’opportunità di costruire specifici percorsi formativi con un approccio multiplo (sia ingegneristico che psicologico), che consentono di perseguire un doppio obiettivo.
Il primo obiettivo è aumentare la consapevolezza della presenza dei rischi sulla strada (stimolando una corretta percezione degli stessi) e le conoscenze del funzionamento percettivo ed emotivo e delle reazioni del nostro corpo a fronte di variazioni determinate dall’assunzione di sostanze, stanchezza o distrazione. Il secondo obiettivo è consentire l’acquisizione della conoscenza delle norme e del mezzo, responsabilizzare il lavoratore rispetto alle procedure obbligatorie per la sicurezza ed aumentare quindi la sua consapevolezza e la sua capacità di individuare il pericolo e ridurre il rischio.
Un problema complesso, come quello del rischio stradale sul lavoro, richiede una soluzione non banale. Solo affrontandolo con sguardo aperto ed interventi adeguati è possibile ottenere risultati significativi. Ed a vantaggio di tutti: dell’azienda, dei lavoratori, e delle loro famiglie.