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Cambiamento climatico: occorre combatterlo (anche) con una migliore gestione di mobilità e trasporti.

Come previsto, una volta superata l’emergenza Covid ci siamo duramente resi conto di trovarci nel pieno dell’emergenza climatica. In quest’ottica, saper gestire correttamente mobilità e trasporti sarà fondamentale per limitare gli effetti negativi sull’ambiente, e quindi sulla nostra qualità della vita. Prima che sia troppo tardi.


Partiamo dalle notizie di attualità

Intanto una buona notizia! Il Parlamento Europeo ha rivisto il regolamento che stabilisce i livelli vincolanti di riduzioni annuali per le emissioni di gas serra per il trasporto su strada, il riscaldamento degli edifici, l’agricoltura, i piccoli impianti industriali e la gestione dei rifiuti per ciascuno Stato membro dell’UE.

La nuova normativa innalza l’obiettivo di riduzione dei gas serra a livello europeo dal 30 al 40% rispetto ai livelli del 2005 entro il 2030, con obiettivi diversi per ogni singolo Paese in base a specifici parametri. Il regolamento fa parte del pacchetto “Pronti per il 55% nel 2030” (Fit for 55), che è il piano dell’UE per ridurre le emissioni di gas serra di almeno il 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990, in linea con la legge europea sul clima. Spero che ogni Paese (compreso naturalmente il nostro) lo faccia in modo tempestivo ed efficace!

Il problema, come sapete, è molto serio.

In Italia le ondate di calore hanno causato, nelle prime due settimane di luglio 2022, un eccesso della mortalità del 21%. A chi fosse ancora scettico riguardo all’urgenza di abbattere le emissioni di CO2 in atmosfera va ricordato anche questo, se ancora non bastasse l’evidenza dei danni enormi che stiamo subendo ormai tutti quanti noi (a partire dalla scarsità di acqua e dalla perdita dei raccolti)! E non mi rivolgo solo ai cittadini, ma anche ai partiti politici.

Quando arrivano le crisi globali, che siano economiche, sanitarie o di altro tipo, le condizioni che si creano possono mettere seriamente a rischio buona parte delle abitudini e delle condizioni della vita di ognuno, magari faticosamente costruite e consolidate nel tempo. Ora: è chiaro da tempo che ci troviamo ad affrontare una crisi complessiva reale ed estesa, che ha risvolti ambientali, energetici, economici e sociali. E, in particolare, va considerato il problema del surriscaldamento globale, che sta già mostrando i suoi effetti ed è ormai giunto sulla soglia dell’irreversibilità.

Un interessante punto di vista

E’ quello di Enrico Demaria, che su Linkedin ha scritto quanto segue (e che condivido in pieno):

CAMBIAMENTO CLIMATICO: faremo la fine della rana bollita?

L’archetipo della rana bollita aiuta a comprendere la (non)strategia che l’umanità ha finora adottato nell’affrontare il riscaldamento globale e il rapido cambiamento dei climi che ne deriva.

È un principio metaforico raccontato dal filosofo statunitense Noam Chomsky per descrivere una pessima capacità dell’essere umano moderno, quella di adattarsi a situazioni spiacevoli e deleterie senza reagire, se non quando ormai è troppo tardi.

“Immaginate un pentolone pieno d’acqua fredda nel quale nuota tranquillamente una rana. Il fuoco è acceso sotto la pentola, l’acqua si riscalda pian piano. Presto diventa tiepida. La rana la trova piuttosto gradevole e continua a nuotare. La temperatura sale. Adesso l’acqua è calda. Un po’ più di quanto la rana non apprezzi. Si stanca un po’, tuttavia non si spaventa. L’acqua adesso è davvero troppo calda. La rana la trova molto sgradevole, ma si è indebolita, non ha la forza di reagire. Allora sopporta e non fa nulla. Intanto la temperatura sale ancora, fino al momento in cui la rana finisce – semplicemente – morta bollita. Se la stessa rana fosse stata immersa direttamente nell’acqua a 50° avrebbe dato un forte colpo con le zampe, sarebbe balzata subito fuori dal pentolone.”

Il principio della rana bollita ci dimostra che quando un cambiamento si effettua in maniera sufficientemente lenta, sfugge alla coscienza e non suscita, per la maggior parte dell’umanità, nessuna reazione, nessuna opposizione.

L’umanità continua a comportarsi come la rana in pentola a fuoco lento. Perché?

1)     Realizzare e convincersi del clima che cambia non è così semplice. Siamo sensibili solo agli eventi estremi
2)     La capacità di capire gli effetti del cambiamento climatico è tutto sommato molto bassa, così come la fiducia nell’attribuire questi eventi agli effetti del cambiamento climatico di origine antropica.
3)     L’attuale sistema economico non è compatibile con la mitigazione. Come può convivere la società dei consumi con modelli frugali che, per limitare le emissioni, potrebbero diminuire i consumi stessi?
4)     La geografia dei cambiamenti è variegata. Il cambiamento del clima non è né sarà lo stesso ovunque: ci sono regioni del pianeta che possono avere grandi benefici da un pianeta più caldo, prima di tutto sotto il profilo strategico.
5)     Ci sono troppe rane in giro, alcune hanno in mano il potere, il potere di non fare, di ostacolare, di rallentare.

MA SOPRATTUTTO:

Le decisioni di oggi, qualunque esse siano, avranno pochissimo peso su quanto sta accadendo oggi o domani, ma sono proiettate su un orizzonte di molti lustri. Chi oggi ha facoltà di decidere non vedrà mai gli effetti di queste decisioni. Né otterrà un convinto consenso popolare se queste decisioni hanno un impatto economico negativo o promettono di ridurre, oggi e domani, il benessere della gente.

Il peggio non lo vedrà Greta, ma la sua prole e la prole della sua prole.

Di chi è la colpa del surriscaldamento globale?

Riporto di seguito tre grafici, che aiutano ad inquadrare bene la questione, ed a capire:

  1. quali Paesi emettono più CO2 ogni anno (e quindi devono impegnarsi più degli altri per contenere le emissioni);
  2. quali Paesi hanno emesso in modo cumulativo più CO2 nel tempo (e quindi hanno contribuito in misura maggiore a portarci nella brutta situazione in cui siamo ora);
  3. quali Paesi oggi emettono più CO2 in rapporto alla popolazione (e quindi fanno sì che i loro cittadini abbiano lo stile di vita più dannoso per il pianeta).

I grafici sono interattivi, potete consultarli in tanti modi (come grafici, mappe e tabelle), selezionare il periodo temporale ed i Paesi di interesse, e lanciare animazioni. La fonte è CO2 emissions – Our World in Data (che vi consiglio di consultare anche per tante altre cose…)

Provate, e tanti aspetti diventeranno più chiari.

Il contesto

Perche ne parlo su queste pagine? Perché, per affrontare questo problema, occorre essere consapevoli del fatto che uno dei settori più critici (e quindi uno dei principali ambiti di intervento) è quello della della mobilità e dei trasporti.

Su questo tema ho avuto il piacere di confrontarmi anche con Corrado Poli, studioso e ricercatore sociale esperto in politiche urbane e ambientali. Questo il suo pensiero, e con riferimento al tema della mobilità e dei trasporti:

In tutto il mondo sono ormai da tempo noti i problemi derivanti da un eccessivo uso dell’auto privata nelle città (inquinamento, congestione, incidenti, ecc.) e la conseguente necessità di rendere più efficiente il modo di muoverci. Sono ugualmente note da tempo anche le tante misure che si possono prendere, testimoniate da decine e decine di buone pratiche. Eppure, gli interventi messi in atto risultano spesso poco incisivi. È necessario quindi studiare politiche urbane basate su una corretta gestione della mobilità. Viaggiare deve e può essere un piacere – anche in auto, eventualmente – ma è uno stupido spreco costringere milioni di persone a spostarsi quotidianamente su lunghi percorsi, soprattutto nell’era di internet, per spostamenti che possono essere evitati del tutto (ad esempio lavorando da remoto). Naturalmente cambiamenti del genere richiedono gradualità, ma l’urgenza è evidente, e impone a tutti di cambiare in fretta mentalità ed abitudini. Gli esseri umani non sono molecole di fluido: si muovono nell’una o nell’altra direzione, con l’uno o l’altro mezzo e infine nel momento in cui lo decidono perché fanno delle scelte. Occorre quindi rendere disponibile il maggior numero possibile di scelte a una società che è sempre più variegata, e non è più costituita da una massa di individui aventi tutti le stesse abitudini. Va da sé, quindi, che un esame dei comportamenti e delle preferenze dei cittadini che si muovono potrebbe facilitare l’offerta di soluzioni alternative rispetto al modo attuale di gestire la mobilità ed i trasporti.

La soluzione: diminuire l’uso individuale dell’auto ed incentivare le possibili alternative

Possiamo trovare in giro per il mondo innumerevoli esempi innovativi e buone pratiche, sia dal punto di vista tecnologico che da quello urbanistico, come pure da quello organizzativo. Ma sarebbe sbagliato focalizzarsi sulle singole tecniche applicate qua e là. Piuttosto, vanno create le condizioni perché venga concesso spazio a modelli di organizzazione urbana alternativa, per consentire alle persone di muoversi in modo più efficiente.

La scelta individuale più efficiente va quindi aiutata, incentivata e resa percorribile dalle istituzioni (Comuni, Regioni, governo nazionale). Basterebbero investimenti relativamente limitati nella pianificazione dei trasporti in ambito urbano per consentire a molti di avere una alternativa all’uso individuale dell’auto per ogni spostamento effettuato. E si potrebbe recuperare, anche in termini di denaro, molto di più dell’investimento iniziale, considerando la riduzione delle spese per i carburanti e di tutti i costi esterni correlati al trasporto privato (inquinamento, rumore, incidentalità, ecc.).

Come intervenire, nel dettaglio? Le soluzioni che posso suggerire sono note: disincentivare l’uso “individuale” dell’auto ed incentivare quello delle biciclette e del trasporto pubblico, ad esempio. Ma sappiamo bene che non basta affidarsi alla buona volontà di ognuno di noi: molto importanti sono le “condizioni al contorno”. Come approfondisco su altre pagine di questo sito, non tutti possono infatti rinunciare all’auto per usare il trasporto pubblico, magari semplicemente per inadeguatezza del servizio (in termini di disponibilità, accessibilità, orari, ecc.) in relazione al proprio caso particolare. Treni e autobus quindi non bastano, da soli, a risolvere il problema. Idem per le biciclette: sono comode per distanze brevi ed in condizioni adeguate (es. strade ben pavimentate, percorsi sicuri, ecc.), ma ancora oggi molte città italiane sembrano, purtroppo, essere decisamente inadatte ad essere attraversate in bicicletta.

Ai mobility manager di buona volontà suggerisco comunque di prendere seriamente in considerazione le iniziative volte ad offrire alternative appetibili rispetto all’uso individuale dell’auto. Un esempio è dato dalla condivisione degli spostamenti (car pooling), con cui è possibile pianificare con estrema flessibilità gli spostamenti casa-lavoro dei dipendenti di un’azienda (o di un distretto), consentendo di venire incontro alle esigenze di chi necessita di un passaggio in auto. E la condivisione dei viaggi consente peraltro a chi la pratica di recuperare parte delle spese sostenute per il carburante (es. organizzandosi a turno con le auto di diversi colleghi, oppure riconoscendo a chi guida un contributo in denaro), e di questi tempi non è davvero poco.

Un suggerimento

Il Comitato Europeo delle Regioni ha messo a disposizione delle amministrazioni locali il primo manuale sull’adattamento ai cambiamenti climatici, creato secondo gli obiettivi fissati dal Green Deal.

Questo nuovo strumento interattivo, personalizzato per ogni Stato membro, ha come obiettivo quello di informare città e regioni sui finanziamenti e sugli strumenti tecnici che possano mitigare i mutamenti climatici e incentivare la transizione ecologica a seconda della conformazione geografica del luogo, allo scopo di favorire la resilienza dei territori e attenuare l’eventualità di catastrofi e danni.

Allego qui il documento personalizzato per l’Italia, utile per progetti di mobilità e trasporti e non solo.

Conclusioni: cosa fare?

Per chiudere, mi rivolgo ai decisori ed agli amministratori di ogni livello, dagli assessori ai trasporti ed all’urbanistica fino ai datori di lavoro ed ai mobility manager aziendali. Siamo tutti sulla stessa barca, ed occorre agire tempestivamente e con decisione. Che abbiate la possibilità di fare scelte di tipo urbanistico, tecnologico o organizzativo, fatelo presto (e ricordatevi che nei paesi più competitivi questo già si fa).

In qualche modo, occorrerà che tutti noi ci diamo una mossa.


Per approfondire: