Come previsto, una volta superata l’emergenza Covid ci siamo duramente resi conto di trovarci nel pieno dell’emergenza climatica. In quest’ottica, saper gestire correttamente mobilità e trasporti sarà fondamentale per limitare gli effetti negativi sull’ambiente, e quindi sulla nostra qualità della vita. Prima che sia troppo tardi.
Il problema
In Italia le ondate di calore hanno causato, nelle prime due settimane di luglio 2022, un eccesso della mortalità del 21%. A chi fosse ancora scettico riguardo all’urgenza di abbattere le emissioni di CO2 in atmosfera va ricordato anche questo, se ancora non bastasse l’evidenza dei danni enormi che stiamo subendo ormai tutti quanti noi (a partire dalla scarsità di acqua e dalla perdita dei raccolti)! E non mi rivolgo solo ai cittadini, ma anche ai partiti politici.
Quando arrivano le crisi globali, che siano economiche, sanitarie o di altro tipo, le condizioni che si creano possono mettere seriamente a rischio buona parte delle abitudini e delle condizioni della vita di ognuno, magari faticosamente costruite e consolidate nel tempo. Ora: è chiaro da tempo che ci troviamo ad affrontare una crisi complessiva reale ed estesa, che ha risvolti ambientali, energetici, economici e sociali. E, in particolare, va considerato il problema del surriscaldamento globale, che sta già mostrando i suoi effetti ed è ormai giunto sulla soglia dell’irreversibilità.
Un interessante punto di vista
E’ quello di Enrico Demaria, che su Linkedin ha scritto quanto segue (e che condivido in pieno):
CAMBIAMENTO CLIMATICO: faremo la fine della rana bollita?
L’archetipo della rana bollita aiuta a comprendere la (non)strategia che l’umanità ha finora adottato nell’affrontare il riscaldamento globale e il rapido cambiamento dei climi che ne deriva.
È un principio metaforico raccontato dal filosofo statunitense Noam Chomsky per descrivere una pessima capacità dell’essere umano moderno, quella di adattarsi a situazioni spiacevoli e deleterie senza reagire, se non quando ormai è troppo tardi.
“Immaginate un pentolone pieno d’acqua fredda nel quale nuota tranquillamente una rana. Il fuoco è acceso sotto la pentola, l’acqua si riscalda pian piano. Presto diventa tiepida. La rana la trova piuttosto gradevole e continua a nuotare. La temperatura sale. Adesso l’acqua è calda. Un po’ più di quanto la rana non apprezzi. Si stanca un po’, tuttavia non si spaventa. L’acqua adesso è davvero troppo calda. La rana la trova molto sgradevole, ma si è indebolita, non ha la forza di reagire. Allora sopporta e non fa nulla. Intanto la temperatura sale ancora, fino al momento in cui la rana finisce – semplicemente – morta bollita. Se la stessa rana fosse stata immersa direttamente nell’acqua a 50° avrebbe dato un forte colpo con le zampe, sarebbe balzata subito fuori dal pentolone.”
Il principio della rana bollita ci dimostra che quando un cambiamento si effettua in maniera sufficientemente lenta, sfugge alla coscienza e non suscita, per la maggior parte dell’umanità, nessuna reazione, nessuna opposizione.
L’umanità continua a comportarsi come la rana in pentola a fuoco lento. Perché?
1) Realizzare e convincersi del clima che cambia non è così semplice. Siamo sensibili solo agli eventi estremi
2) La capacità di capire gli effetti del cambiamento climatico è tutto sommato molto bassa, così come la fiducia nell’attribuire questi eventi agli effetti del cambiamento climatico di origine antropica.
3) L’attuale sistema economico non è compatibile con la mitigazione. Come può convivere la società dei consumi con modelli frugali che, per limitare le emissioni, potrebbero diminuire i consumi stessi?
4) La geografia dei cambiamenti è variegata. Il cambiamento del clima non è né sarà lo stesso ovunque: ci sono regioni del pianeta che possono avere grandi benefici da un pianeta più caldo, prima di tutto sotto il profilo strategico.
5) Ci sono troppe rane in giro, alcune hanno in mano il potere, il potere di non fare, di ostacolare, di rallentare.
MA SOPRATTUTTO:
Le decisioni di oggi, qualunque esse siano, avranno pochissimo peso su quanto sta accadendo oggi o domani, ma sono proiettate su un orizzonte di molti lustri. Chi oggi ha facoltà di decidere non vedrà mai gli effetti di queste decisioni. Né otterrà un convinto consenso popolare se queste decisioni hanno un impatto economico negativo o promettono di ridurre, oggi e domani, il benessere della gente.
Il peggio non lo vedrà Greta, ma la sua prole e la prole della sua prole.
Di chi è la colpa del surriscaldamento globale?
Riporto di seguito tre grafici, che aiutano ad inquadrare bene la questione, ed a capire:
- quali Paesi emettono più CO2 ogni anno (e quindi devono impegnarsi più degli altri per contenere le emissioni);
- quali Paesi hanno emesso in modo cumulativo più CO2 nel tempo (e quindi hanno contribuito in misura maggiore a portarci nella brutta situazione in cui siamo ora);
- quali Paesi oggi emettono più CO2 in rapporto alla popolazione (e quindi fanno sì che i loro cittadini abbiano lo stile di vita più dannoso per il pianeta).
I grafici sono interattivi, potete consultarli in tanti modi (come grafici, mappe e tabelle), selezionare il periodo temporale ed i Paesi di interesse, e lanciare animazioni. La fonte è CO2 emissions – Our World in Data (che vi consiglio di consultare anche per tante altre cose…)
Provate, e tanti aspetti diventeranno più chiari.
Conclusioni: cosa fare?
Per chiudere, mi rivolgo ai decisori ed agli amministratori di ogni livello, dagli assessori ai trasporti ed all’urbanistica fino ai datori di lavoro ed ai mobility manager aziendali. Siamo tutti sulla stessa barca, ed occorre agire tempestivamente e con decisione. Che abbiate la possibilità di fare scelte di tipo urbanistico, tecnologico o organizzativo, fatelo presto (e ricordatevi che nei paesi più competitivi questo già si fa).
In qualche modo, occorrerà che tutti noi ci diamo una mossa.
Per approfondire: