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Come implementare un sistema di gestione ISO 39001 per la riduzione del rischio stradale sul lavoro.

La prima causa di morte sul lavoro è l’incidente stradale. Nel Documento di Valutazione dei Rischi (DVR), per le aziende che hanno lavoratori e mezzi su strada, questo deve essere ben presente. Ma può essere altrettanto utile trattare il tema a livello di sistema di gestione aziendale, soprattutto se già certificato come conforme allo standard ISO 45001. E, per le aziende più grandi, è utile ragionare anche secondo l’approccio dello standard ISO 39001. Ecco i miei consigli.


Premessa

Lo standard ISO 39001 definisce i requisiti che deve avere un sistema organizzativo mirato alla riduzione del numero di morti e del numero di feriti conseguenti agli incidenti stradali. Nella sostanza, oltre naturalmente agli enti proprietari o gestori di reti stradali, i soggetti più indicati per l’implementazione di un sistema del genere sono le aziende di una certa dimensione che generano, direttamente o indirettamente, un gran numero di spostamenti stradali per motivi di lavoro.

Parlo quindi, in primis, di aziende che trasportano persone o merci, di aziende che svolgono pubblici servizi (es. gestione strade, raccolta rifiuti, aziende del tipo “global service”, ecc.) o di aziende che hanno su strada una rete vasta e capillare di persone con mansioni di natura commerciale o operativa (dalle case farmaceutiche alle compagnie di telecomunicazioni, dai gruppi bancari ai fornitori di servizi di manutenzione, ecc.).



ISO 39001: da dove iniziare

Prendiamo il caso di una azienda con le seguenti caratteristiche: numero di dipendenti operanti in maggioranza su strada, flotta veicolare consistente (di proprietà o in noleggio), sistema di gestione già conforme allo standard ISO 45001.

È evidente come la presenza di un sistema di gestione già certificato ISO 45001 costituisca un punto di forza per l’azienda, dal momento che esso offre non solo una “cornice” procedurale (con il ciclo di pianificazione, controllo operativo, gestione degli audit, riesame, ecc. già ben rodato e funzionante), ma anche uno strumento operativo fortemente orientato alla riduzione dei rischi su strada, con procedure già in uso e specifiche di situazioni che richiedono attenzione alla sicurezza delle persone ed all’efficienza dei veicoli. Posso quindi dire, come peraltro ho direttamente riscontrato in varie realtà aziendali, che questa condizione consente all’azienda di essere già “a metà strada” nel percorso di certificazione ISO 39001.

Occorre inoltre considerare che l’approccio indicato dallo standard ISO 39001 non si limita al solo perimetro operativo aziendale, ma spazia notevolmente, per prendere in esame anche gli effetti che l’organizzazione stessa produce nei confronti del contesto in cui opera. Non basta quindi impostare il sistema solo con riferimento ai rischi a cui sono esposti i lavoratori quando sono su strada – tema che peraltro, si spera, sia già trattato adeguatamente nel documento di valutazione dei rischi (DVR) – ma anche con riferimento ai rischi che l’azienda stessa “porta” sulla strada. Rispetto a tali rischi, le persone esposte sono costituite da tutti gli “utenti della strada”. E questo, è uno dei punti rispetto ai quali, in fase iniziale, la maggior parte delle aziende si trova ad essere “scoperta”.

Altre lacune che mi capita spesso di riscontrare nella “gap analysis” iniziale, oltre alla trattazione superficiale del “rischio stradale” nel DVR, sono date dalla approssimativa gestione della manutenzione dei veicoli e, soprattutto, dall’assenza di una politica di monitoraggio dei comportamenti a rischio che i dipendenti tengono su strada. Per non parlare di molti aspetti di tipo organizzativo.

Analisi del contesto e pianificazione: il “rischio stradale”

Integrare le procedure aziendali vigenti per raggiungere la conformità ai requisiti ISO 39001 può essere per molte aziende un processo rapido, ma di certo non è mai banale. È alto il rischio di duplicare informazioni o procedure esistenti, lasciare lacune su aspetti decisivi e, soprattutto, appesantire il sistema di gestione vigente in modo disorganico e senza conseguire reali benefici organizzativi, né tantomeno risultati apprezzabili in termini di riduzione del rischio e del numero di incidenti. Non basta impostare in modo approssimativo un elendo di “fattori di prestazione” da esibire agli auditor incaricati dagli enti di certificazione: occorre gestire la cosa con particolare accuratezza, avvalendosi di riconosciuta competenza.

Partiamo dall’analisi del contesto, ricordando nuovamente che occorre guardare sia “all’interno” che “all’esterno” del perimetro aziendale.

“Guardare all’interno” significa approfondire la valutazione dei rischi effettuata in ottemperanza agli obblighi derivanti dal Testo Unico per la salute e la sicurezza dei lavoratori. Se quella del rischio stradale non dovesse essere adeguatamente dettagliata, come spesso avviene, occorre approfondirla con riferimento ad ogni singola mansione che preveda presenza su strada. Senza peraltro trascurare le attività di chi ricopre funzioni dirigenziali, molto spesso in auto per compiti commerciali o di rappresentanza.

Valutare il rischio stradale dei lavoratori non è banale: la strada non è un ambiente chiuso e delimitato come un ufficio o un sito produttivo, per i quali, invece, il datore di lavoro ha pieno potere di stabilire regole di comportamento o realizzare interventi strutturali. Su ogni strada circolano, oltre ai propri dipendenti, persone aventi motivi diversi (lavorativi o meno), con competenze diverse (in termini di formazione ed addestramento) e su veicoli di tipo diverso (leggeri, pesanti, speciali, ecc.). E, su questa miriade di soggetti che “interferiscono” con lo spostamento di un proprio dipendente (mettendolo anche a rischio), il datore di lavoro non può fare assolutamente nulla. Quello che invece può fare attiene alla sua specifica e limitata sfera di influenza, data dai propri guidatori, dai veicoli che usano e dagli spostamenti che vengono richiesti loro, come illustro nel seguito.

È evidente come, oltre all’ovvio rispetto delle normative specifiche (ad esempio in termini di patenti professionali, dispositivi di controllo per i mezzi pesanti, norme su alcool o tempi di guida, ecc.), la valutazione del “rischio stradale debba portare datori di lavoro e responsabili del servizio di prevenzione e protezione (RSPP) a conclusioni e misure di miglioramento adeguate. E questo, pur tenendo presente che gli incidenti causati da colpa altrui, che possiamo quasi inquadrare come “rischi sul lavoro da interferenza”, risultano sostanzialmente ineliminabili, anche se si può fare qualcosa per limitarne i danni. E ricordando inoltre come il rischio, per il singolo addetto, può variare sensibilmente in funzione delle specifiche condizioni in cui egli si trova ad operare, che possono cambiare giorno per giorno. Una buona valutazione del rischio stradale è quindi un fondamentale punto di partenza (anche perchè le misure di riduzione del rischio possono poi essere viste anche come “fattori intermedi di sicurezza”, di cui parlo tra poco).

Fin qui, quello che si intende per “guardare all’interno”.

“Guardare all’esterno” significa invece considerare i rischi che l’azienda “porta” sul territorio in cui opera. Ad esempio: per una azienda di trasporto pubblico, si tratta della città o provincia in cui svolge il servizio; per un corriere espresso o un autotrasportatore, si tratta dell’intera rete stradale impegnata, ecc. In questo contesto, occorre fare lo sforzo, per nulla banale, di capire chi possono essere i propri interlocutori, i quali rientrano tra le cosiddette parti interessate: dagli enti locali (come nel caso del trasporto pubblico) ai gestori infrastrutturali, dalle associazioni di categoria alle forze dell’ordine; dai servizi di emergenza alle compagnie di assicurazioni, ecc.

In funzione del contesto analizzato e dei rischi riscontrati, si passa poi alla fase di pianificazione delle azioni da attuare. La norma ISO 39001 richiede, a questo punto, che si ragioni in termini di “fattori di prestazione”.

I fattori di prestazione

L’individuazione dei fattori di prestazione è uno dei punti più delicati ed importanti dell’intero processo. Essi si distinguono in “iniziali”, “intermedi” e “finali”. La loro corretta definizione consente di impostare adeguatamente l’insieme degli indicatori numerici da utilizzare per gestire correttamente le fasi di pianificazione, controllo operativo, analisi delle prestazioni e riesame del sistema.

Nella sostanza, i fattori iniziali corrispondono ai fattori di esposizione al rischio. Ad esempio, per i lavoratori, parliamo di tempi trascorsi su strada o distanze percorse, tutto ripartito il più possibile in base a mansione e condizioni particolari di lavoro. Potendo intervenire direttamente su tali fattori si avrebbe un forte effetto di riduzione del rischio. Ad esempio, le riunioni condotte in video-conferenza consentono di evitare spesso un viaggio in auto, eliminando del tutto l’esposizione al rischio derivante dall’attività in questione. Spesso, però, eliminare la presenza delle persone su strada non è possibile, come nel caso delle attività derivanti da servizi contrattualizzati (es. trasporto di merci o persone, raccolta rifiuti, pulizia o manutenzione stradale, ecc.). In ogni caso, anche ove non fosse possibile intervenire sui fattori iniziali, occorre monitorare gli stessi nel dettaglio, per consentire poi analisi accurate in termini di esiti ed evoluzione delle prestazioni.

I fattori intermedi sono le vere e proprie “leve” del sistema. Sono cioè dati dalle azioni concrete che i Datori di Lavoro possono mettere in atto per la riduzione del rischio stradale. Non mi dilungo qui in indicazioni operative sul tema (es. formazione, addestramento, ecc.), che trovate in altre pagine del sito; ribadisco però che tali fattori devono essere individuati con cura, in quanto la loro efficacia varia molto in base alla tipologia dell’azienda ed alla situazione di rischio per il lavoratore. Vanno inoltre associati ad indicatori chiari e “misurabili”, per poter impostare su di essi obiettivi e piani di miglioramento in modo adeguato (es. percentuale di conducenti che hanno frequentato un corso di guida sicura, numero e periodicità degli audit interni sulla sicurezza stradale, infrazioni commesse alla guida, ecc.).

I fattori intermedi di prestazione vanno individuati in funzione del tipo di azienda, cercando di coprire le tre aree fondamentali di intervento del “sistema guida”: “uomo”, “veicolo” e “spostamento”. Suggerisco qualche indicazione specifica: per la componente “uomo” ci si orienta su formazione, addestramento e preparazione alle emergenze; per la componente “veicolo” si cerca di migliorare le procedure di gestione e manutenzione dei veicoli (ad esempio con nuovi strumenti per la sicurezza delle flotte aziendali); per la componente “spostamento” si ragiona su come ridurre o gestire il numero di spostamenti effettuati in condizioni di rischio. Ma solo scendendo nel dettaglio del contesto organizzativo è possibile pervenire alla definizione dell’insieme corretto dei fattori intermedi, considerando spesso che, peraltro, alcuni di tali fattori possono essere già presenti come elemento del sistema di gestione vigente o come misura di miglioramento derivante dalla valutazione dei rischi.

I fattori finali costituiscono infine il “risultato” delle prestazioni dell’azienda in termini di sicurezza stradale. Parliamo quindi del numero di incidenti avvenuti su base periodica (es. annuale), suddivisi per tipo di mezzo, mansione lavorativa, esito (es. con lesioni a persone o meno), giorni di lavoro persi da persone e veicoli, ecc. Ed è bene comprendere in tale elenco anche i tanti fattori “sentinella”, come ad esempio il numero di avarie occorse ai mezzi, quello di infrazioni al codice della strada commesse dai lavoratori, o ancora, il monitoraggio e l’analisi degli esiti di alcool e drug-test a cui sono sottoposti i conducenti aziendali (sia in occasione della sorveglianza sanitaria che a seguito di controlli su strada da parte delle forze dell’ordine). I valori relativi a tali indicatori devono poi essere monitorati ed analizzati periodicamente, per capire se le azioni messe in campo (date dai “fattori intermedi”) sono efficaci o meno. E, allo scopo di una buona analisi, è opportuno rapportare tali valori a quelli dei fattori iniziali (es. il numero di sinistri, infrazioni o avarie mensili va rapportato alle percorrenze fatte o alle ore trascorse su strada nello stesso periodo, e così via).

Il sistema di gestione

Tutto quanto ho descritto va inquadrato e gestito nel normale ciclo del sistema di gestione vigente, che non costituisce solo una cornice formale ma è anzi lo strumento operativo con cui eseguire le varie procedure individuate. In fase di avvio del sistema ISO 39001 sta poi al responsabile aziendale del sistema (l’”HSE Manager”, spesso coincidente con l’RSPP) decidere se, nell’ottica dell’efficienza aziendale e dell’integrazione delle varie norme di sistema, possa essere utile eseguire fin da subito audit interni congiunti sulle diverse norme o procedere invece in prima battuta con uno specifico approfondimento sul tema del rischio stradale. E, in sede di riesame delle prestazioni, è bene che la direzione si ponga obiettivi di miglioramento adeguati su un orizzonte temporale di medio termine (ad esempio su tre anni), verificando però almeno annualmente l’andamento delle prestazioni ed il gap residuo rispetto agli obiettivi.

Il tutto, senza dimenticare la necessità di un impegno fattivo e convinto da parte delle figure dirigenziali, che sullo specifico tema corrono spesso il rischio di ritenersi “al di sopra delle parti” e quindi libere di comportarsi in difformità rispetto alle prescrizioni date ai loro stessi dipendenti e riportate nella politica aziendale. Una lacuna su tale aspetto può, in molti casi, pregiudicare l’efficacia dell’intero sistema.

Conclusioni

Con una implementazione adeguata del sistema e con azioni serie e convinte, è possibile riuscire a presidiare in poco tempo un ambito (quello della sicurezza su strada) che spesso sembra impossibile da trattare, come dimostrano le migliori esperienze europee nel settore. Ed ai vari benefici economici (riduzione dei costi di riparazione e dei tempi di indisponibilità di persone e veicoli, riduzione dei costi assicurativi, accesso ad incentivi INAIL, ecc.), si sommano quelli gestionali (con una migliore efficienza aziendale), giuridici (con tutele rafforzate riguardo alla responsabilità di impresa) e di immagine (con un forte riconoscimento di carattere innovativo e di responsabilità sociale da far valere rispetto alla concorrenza). Oltre ad avere, molto spesso, un più facile accesso al mercato, sempre più attendo al tema in questione.

Per le aziende di dimensioni minori, e magari neanche dotate di un sistema conforme ad ISO 45001, la strada può essere più lunga ed i costi da sostenere più rilevanti. Il consiglio, in questo caso, può essere quello di far effettuare solo una rapida “gap analysis” da parte di una figura esperta, per verificare quanto i requisiti dettati dalla norma ISO 39001 possano essere distanti o meno dallo stato attuale, e decidere solo dopo se, e con che tempi, procedere alla implementazione del sistema. Il tutto, tenendo presente quanto già detto in tema di evoluzione delle norme ISO ed opportunità di integrazione dei sistemi di gestione.

Per le aziende più grandi il discorso è diverso. Quelle più avvedute stanno da tempo implementando, all’interno dei loro sistemi di gestione, azioni e procedure specifiche per la riduzione del rischio stradale. Per tali organizzazioni, il conseguimento della certificazione ISO 39001 è un passo ormai quasi inevitabile, oltre che relativamente rapido. E quelle con datori di lavoro e dirigenti dotati di competenza e lungimiranza non potranno che percorrerlo a breve.

P.S. Mi occupo da tempo di consulenza, formazione ed auditing sullo standard ISO 39001. Se occorre, contattatemi pure, senza impegno, per ogni evenienza!